Oggi, 30 Settembre, celebriamo la Giornata Mondiale della Traduzione presentandovi il patrono del giorno, il santo protettore degli interpreti e dei traduttori, San Girolamo. Beatificato nel 1786, venne proclamato santo da papa Gregorio XVI nel 1839.

Sofronio Eusebio Girolamo, meglio noto come San Girolamo (dal greco “di nome sacro”), nasce intorno al 347 d.C. a Stridone, una città al confine tra le province romane della Dalmazia e della Pannonia (ora sul versante italiano del confine italo-croato). Di famiglia benestante, riceve un’accurata formazione, perfezionata poi dagli studi compiuti a Roma.

Il carattere focoso e sovversivo lo conduce ad una vita mondana costellata di vizi, interrotta, però, all’indomani del 366 d.C., anno in cui viene battezzato e momento nel quale accresce il suo interesse per la lettura dei classici e della retorica e il suo desiderio di una vita ascetica. Studierà per tutta la vita viaggiando tra Europa ed Oriente, al fine di ampliare le sue conoscenze, arricchendo il suo bagaglio linguistico e culturale, immergendosi nella storia dei Paesi e nelle loro tradizioni più radicate.

Nel 375 d.C. Girolamo inizia a mostrare una spiccata passione per le Sacre Scritture e si convince che per interpretarle sia necessario passare attraverso la lettura, lo studio e l’analisi del testo nella lingua in cui erano state scritte e tradotte la prima volta. Per questo motivo si reca ad Antiochia, dove s’appresta allo studio del latino e, successivamente, nel deserto della Calcide, presso i confini siriani, dove, invece, si dedica allo studio della lingua ebraica.

Nel 379 d.C. Girolamo riceve il sacerdozio e in un secondo momento si trasferisce a Roma, dove papa Damaso I, venuto a sapere della sua fama di studioso eccelso, lo nomina suo segretario e consigliere, incaricato di occuparsi della corrispondenza che intercorreva tra Oriente e Occidente, (data la sua approfondita conoscenza delle lingue straniere), di revisionare tutte le traduzioni esistenti dei Vangeli e, soprattutto, di tradurre in latino la versione dei Settanta (Septuaginta), ovvero il testo della Bibbia in greco.

In seguito alla morte di Damaso I, Girolamo si reca per prima cosa in Terra Santa, poi in Egitto ed infine a Betlemme, dove costruirà un monastero, perfezionerà lo studio della lingua ebraica e vivrà da monaco. Durante questi viaggi egli non abbandona il lavoro di traduzione della Bibbia, continuando la sua attività di ricerca e commento sui libri dei Profeti.

Morirà proprio a Betlemme, a causa di una grave malattia, nel 420d.C.

La traduzione della Bibbia:

Girolamo, in quanto traduttore esperto, parlava correntemente tre lingue: il latino, il greco e l’ebraico. Inoltre, sapeva leggere in aramaico e conosceva alcune parole in siriaco e in arabo.

Le sue opere più significative risultano la revisione in latino del Nuovo Testamento, intitolata poi Vulgata, essendo una versione “per il popolo”, la quale è attualmente riconosciuta come testo ufficiale delle celebrazioni in latino e la traduzione dall’ebraico al latino dell’Antico Testamento.

Secondo la sua opinione, infatti, non bastava prendere spunto unicamente dal testo greco per cogliere la bellezza e il vero, genuino messaggio contenuto nelle Sacre Scritture. A tal proposito, nel caso dell’Antico Testamento, egli fa affidamento anche sulle versioni pervenutegli in ebraico, non limitandosi solamente al mero e cieco abbandono alla versione greca Septuaginta.

I Cristiani, tra i quali Sant’Agostino, non si sono mostrati particolarmente d’accordo con questa decisione in quanto consideravano la versione greca l’unica da potersi definire realmente “ispirata”.

Un ulteriore problema che deve affrontare Girolamo nel corso della traduzione della Bibbia è il divario ideologico tra una traduzione “parola per parola” ed una “senso per senso”, oggi conosciuta come “equivalenza dinamica”.

L’approccio letterale al testo era considerato al tempo quello più accreditato, poiché si credeva che ogni singolo dettaglio sintattico o lessicale fosse frutto di quell’ispirazione e di quel messaggio che dovevano trasparire dalla lettura del testo sacro. Al contrario, il punto di vista di Girolamo si basava su un’equa valorizzazione della lingua di destinazione, preservando non solo il significato intrinseco dei termini originali, bensì anche la qualità dello stile. Questo era uno degli insegnamenti che aveva fatto suoi attraverso la lettura di Cicerone.

In un tempo in cui concetti come “traduzione” e “traduttologia” erano quasi del tutto sconosciuti, Girolamo si distingue per la sua consapevolezza della lingua come ponte linguistico-culturale tra Paesi e dei compiti che ricopre lo stesso traduttore, il quale deve possedere una formazione umanistica e una perfetta padronanza non solo della lingua d’origine, ma anche e soprattutto di quella di destinazione, in modo da trasmettere il senso originario, superando e abbattendo così l’ostacolo linguistico.

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