Il naufrago che parlava il Mayat’an

Brevi cenni biografici

Gerónimo de Aguilar fu un esploratore spagnolo, interprete e frate francescano della fine del XV secolo. Nacque ad Écija (Siviglia) nel 1489 e fu un personaggio chiave per lo scioglimento della vicenda riguardante la spedizione di Hernán Cortés in Messico.

Il primo viaggio

Nel 1511 il frate-esploratore si diresse verso l’America, precisamente a Santo Domingo a bordo di una caravella, la Santa Marìa, deciso ad accompagnare in questa spedizione Juan de Valdivia e i suoi uomini. Tuttavia, il destino fortuito e le cause avverse portarono la barca a naufragare nei pressi della Penisola dello Yucatán. Molti membri dell’equipaggio persero la vita, mentre i sopravvissuti, dopo alcuni giorni di stenti in mare aperto, riuscirono a raggiungere la costa servendosi di una piccola imbarcazione e approdando a Quintana Roo. Sfortunatamente, quella parte di costa era abitata da alcuni cannibali di una tribù maya, i quali catturarono Aguilar e i suoi compagni e ne sacrificarono alcuni in onore dei propri dei.
In questa vicenda, solamente Aguilar e un altro membro della spedizione, Gonzalo Guerrero, si salvarono dalla strage rifugiandosi nell’entroterra della penisola. I due giunsero presso un accampamento di un’altra tribù maya, la quale li fece schiavi. Gli esploratori spagnoli vissero a stretto contatto con la popolazione maya, facendo gradualmente propri usi e costumi locali e, soprattutto, imparandone la lingua e la cultura. Ciononostante, l’approccio di Aguilar alla “nuova vita” fu diverso rispetto a quello di Guerrero. Se il secondo si era completamente inserito nelle dinamiche della tribù, sposandosi con una donna nativa del luogo e avendo con lei due figli, Aguilar sognava giorno e notte l’arrivo della “Provvidenza”.

L’arrivo di Cortés e il triangolo linguistico

La “Provvidenza” si fece attendere per otto anni, finchè, nel 1519, l’equipaggio di una nave spagnola capitanato da Hernán Cortés, venuto a sapere di due prigionieri “barbuti” di nazionalità spagnola sulla Penisola, decise di andare a recuperarli. Guerrero scelse di non seguirli, poiché ormai perfettamente integrato nella società maya con la sua famiglia, mentre Gerónimo de Aguilar partì alla volta del Messico insieme a Cortés.
Curioso è che quando il capitano approdò sulla Penisola dello Yucatán non riconobbe subito Aguilar, giacchè per il suo vestiario e la carnagione morena pareva a tutti gli effetti uno schiavo indiano.

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Cortés e la Malinche all’incontro con Montezuma II.

Aguilar, essendo in grado di parlare sia la lingua maya locale, chiamata “Mayat’an”, ovvero “linguaggio dei Maya”, che lo spagnolo, iniziò a svolgere il compito di interprete in occasione dei rapporti di Cortés con il popolo maya.
Quando arrivarono a Tabasco, in Messico, la popolazione non vedeva di buon occhio l’arrivo degli spagnoli. Cortés si voleva servire di Aguilar per presentare le proprie intenzioni di solo transito in quella zona, però non riusciva a comunicare con il popolo Azteco del luogo poichè Aguilar non conosceva la loro lingua, il nahuatl. Così gli affiancarono “la Malinche”, conosciuta anche come “Marina”, una schiava indigena che parlava in nahuatl. Si venne a creare così una sorta di triangolo linguistico, in cui la Maliche traduceva dal nahuatl al maya per Gerónimo de Aguilar, il quale a sua volta traduceva dal maya allo spagnolo per Hernán Cortés. Il circolo funzionava anche al contrario, con il maya come lingua ponte tra spagnolo e nahuatl.

Nell’opera “El laberinto de la soledad” (Il labirinto della solitudine, N.d.R.) lo scrittore messicano Octavio Paz, Premio Nobel per la letteratura, interpreta il rapporto tra Cortéz e la Malinche, e in particolar modo la sottomissione di quest’ultima e il suo prezioso aiuto in ambito di mediazione, come la chiave di volta che portò il conquistador ad assumere il controllo in America Centrale e alla conseguente distruzione della società azteca.

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