La diversità è una ricchezza. È ispirazione, sapere, gioiello da custodire.

La diversità è un patrimonio da coltivare. E lo sa bene l’UNESCO, che come ogni anno promuove la Giornata Internazionale della Lingua Madre con l’obiettivo di celebrare le unicità culturali e linguistiche in tutto il mondo. Festeggiata per la prima volta nel 2000 e riconosciuta ufficialmente dall’Assemblea generale dell’ONU nel 2007, la Giornata sceglie come data il 21 febbraio in ricordo del tragico evento avvenuto nel 1952 nella zona del Bangladesh: durante una manifestazione di protesta a favore del riconoscimento del proprio idioma e contro l’imposizione della lingua urdu come lingua ufficiale, alcuni studenti bengalesi dell’Università di Dacca trovarono la morte per mano delle forze di polizia del Pakistan, che al tempo comprendeva territorialmente anche il Bangladesh.

L’episodio non solo si ripercosse pesantemente sulla coscienza pubblica locale al punto da tramutare la data in un giorno della memoria prima e in una festa nazionale poi (Shohid Dibôsh), ma ebbe un riflesso talmente incisivo anche all’infuori dei confini del Bangladesh da far erigere diversi monumenti in onore della giornata in tutto il globo. Oltretutto, l’avvenimento fu anche il pretesto per un insieme di studi scientifici nel campo della linguistica legati all’importanza di proteggere la lingua madre: i risultati dimostrano chiaramente che un’identità culturale supportata e arricchita dall’idioma ad essa legato per natura costituisce il fondamento essenziale per combattere fenomeni come l’analfabetismo e per opporsi alla discriminazione dettata dall’assenza di integrazione e di istruzione di qualità.

Ogni anno l’UNESCO sceglie un tema specifico sul quale sviluppare l’intera Giornata e nel tempo, oltre all’intento celebrativo iniziale nei confronti delle varietà linguistiche, il 21 febbraio si è fatto portavoce di tanti altri linguaggi meno “convenzionali”, quali il Braille e il linguaggio dei segni, e delle molte lingue minori a rischio di estinzione: il motto “In the galaxy of languages, every word is a star” (“Nella galassia delle lingue, ogni parola è una stella”), coniato proprio dall’UNESCO, ben traduce la necessità di salvaguardare l’eredità culturale di ogni popolo, di ogni nazione, ed evidenzia la rarità inestimabile di ogni singolo tassello che compone l’universo linguistico.

Un messaggio di una simile entità non sopravvive se racchiuso in una bolla di sole 24 ore. Senza un’eco di più ampia portata è destinato a scemare, a morire lentamente e ad essere dimenticato come se non fosse mai esistito davvero. In una società che avanza sempre di più verso la globalizzazione, talvolta fine a se stessa, proteggere il multilinguismo e la diversità è doveroso, oltre che legittimo. Rispettarne i confini e le peculiarità è la base di partenza, il principio massimo per chiunque operi nel campo delle lingue e della comunicazione; tessere un dialogo tra lingue diverse che non si esaurisca nella mera conversione meccanica, stabilire delle corrispondenze in grado di far intrecciare saldamente le due parti ed esaltare infine le preziose singolarità di ciascuna lingua sono gli obiettivi cardine ai quali verte, per esempio, l’attività di un buon traduttore.

Il traduttore che si appresta ad agire su un testo per convertirlo in un’altra lingua non solo deve essere in grado di coglierne le sfumature più profonde a livello linguistico, ma deve anche saper tradurre creativamente il messaggio chiave celato nel testo, così da riportarlo nella lingua d’arrivo secondo i canoni e gli aspetti primari della cultura che la caratterizza; in altre parole, attraverso un processo di localizzazione il professionista interviene per tutelare entrambe le realtà linguistiche e, rimanendo nella metafora regalataci da UNESCO, agisce nel migliore degli intenti per tenere viva la luce di ogni piccola stella.

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