È ben noto che le differenze tra sistemi giuridici, in particolare quelli di Common Law e di Civil Law (vedi articolo precedente), sono molto profonde.

Parallelamente distanti risultano i linguaggi giuridici nei quali sono redatti testi nell’ambito dei due sistemi, sì che tra due lingue legislative spesso sussiste solo in parte equivalenza di significato.

Di regola ci si imbatte, infatti, se non nell’assenza di un concetto a fronte dell’inesistenza di un corrispondente istituto giuridico (si pensi all’Amtsgericht tedesco che, dall’abolizione della pretura, non trova più un corrispondente nell’ordinamento giuridico italiano), in una congerie di sfumature che aggrava il compito del traduttore (è per esempio il caso delle differenze procedurali poste alla base della domanda e del claim, pur designando entrambi l’atto con cui la parte che vuol far valere un diritto in giudizio propone domanda al giudice competente). Frequente è però anche il caso dell’esistenza, in un ordinamento, di un termine che identifica una realtà profondamente diversa rispetto a quella che la medesima parola contrassegna in un altro ordinamento (si pensi per esempio al concetto di regolamento del potere esecutivo italiano, che si distingue nettamente dalla Verordnung tedesca).

Di conseguenza, una delle principali difficoltà della traduzione giuridica risiede nel come affrontare l’intraducibilità dei concetti, in particolare di quelli che sono propri di alcuni sistemi giuridici ma non di altri.

Di fronte a questa situazione, il traduttore giuridico è chiamato a operare scelte di grande responsabilità, tra cui quella di creare nella propria lingua un neologismo oppure di individuare, con un vero e proprio esercizio di comparazione giuridica, un concetto di significato analogo nella lingua target.

La maggior parte degli autori concorda sul fatto che il traduttore giuridico ha, sostanzialmente, tre possibilità di resa traduttiva. Va precisato che la scelta dell’una o dell’altra opzione va concordata per iscritto con il cliente, possibilmente redigendo delle Norme Tecniche a priori, come prevede la normativa UNI EN 15038.

1)      La prima possibilità consiste nella semplice trascrizione del termine della lingua di partenza, la quale può essere accompagnata – soprattutto quando il termine non è generalmente noto o se la precisazione del significato è di rilevanza ai fini della migliore comprensione del testo – da una spiegazione del relativo significato in una nota tra parentesi o, se di dimensioni maggiori, a piè di pagina. Per es. statutes (norme di produzione legislativa in contrapposizione a quelle di formazione giurisdizionale). Anche se ciò produce, indubbiamente, un effetto di straniamento nel destinatario, questa soluzione è utile a far sì che il lettore possa veramente capire la realtà giuridica sottesa.

2)      La seconda possibilità consiste nell’individuare, nella lingua di arrivo, il termine dal significato più vicino a quello espresso nella lingua di partenza.

3)      Il traduttore può, infine, creare, nella propria lingua, un neologismo per esprimere tutti i significati del termine espresso nella lingua di partenza, cui far seguire una nota a piè di pagina.

La nota si presenta quindi per il traduttore giuridico come un pratico strumento di supporto nella sua funzione di mediatore interculturale, che gli offre lo spazio necessario per giustificare le sue scelte traduttive e al contempo gettare luce sulle diversità linguistiche e culturali, colmando quelle lacune conoscitive da parte del fruitore della traduzione che gli impedirebbero una precisa comprensione del testo di partenza.

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